Sbagliato non stupirsi, eppure sta accadendo. L’inquinamento dell’aria può contribuire a peggiorare la faccenda del Covid-19, ma non siamo più di tanto sorpresi. Un po’ perché siamo stanchi per le settimane di isolamento e un po’ perché lo intuivamo, visto che prima del coronavirus l’inquinamento atmosferico uccideva 7 milioni di persone all’anno.
La diffusione in tutto il mondo del Covid-19 sembra presentare, nei diversi focolai, notevoli differenze per tassi epidemici e per mortalità. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Atmosphere dall’Istituto di scienze dell’atmosfera (Isac) e del clima del Cnr di Lecce e Roma affronta l’interazione tra inquinamento dell’aria e Covid -19 .
Lo studio
“È plausibile che l’esposizione di lungo periodo all’inquinamento atmosferico possa aumentare la vulnerabilità degli esposti al Covid-19 a contrarre, se contagiati, forme più importanti. Tuttavia, deve ancora essere stimato il peso dell’inquinamento rispetto ad altri fattori concomitanti”, spiegano Daniele Contini e Francesca Costabile di Cnr-Isac.
I dati mostrano focolai in aree con livelli di inquinamento diversi tra loro, ma quelli sui contagi sono legati ad attendibilità, precisione e completezza dei conteggi e alla modalità di esecuzione dei tamponi.
La ricerca affronta anche la trasmissione del virus in aria (detta “airborne”). “Un tema ritenuto dagli autori dello studio plausibile, anche se non è stato determinato quanto incida rispetto ad altre forme di trasmissione quali il contatto diretto e indiretto attraverso superfici contaminate”, prosegue Contini.
Trasmissione
La trasmissione airborne può avvenire:
–attraverso le goccioline di diametro relativamente grande (> 5 µm), emesse da una persona contagiata con starnuti o colpi di tosse, che sono a breve distanza (1-2 metri) dal punto di emissione;
-oppure attraverso il bioaerosol emesso durante la respirazione e con il parlato, o il residuo secco che rimane dopo l’evaporazione, di dimensioni più piccole (< 5 µm), che può rimanere in sospensione per tempi maggiori.
Differenza tra ambienti
I margini di incertezza sono ampi. Per valutare la probabilità di contagio attraverso l’airborne si deve distinguere tra ambienti interni ed esterni, tenendo conto di molti parametri, tra cui le concentrazioni di virus in aria e il loro tempo di vita.
Per il tempo di vita si parla di circa un’ora in condizioni controllate di laboratorio, mentre in esterno il tempo potrebbero essere ridotto dall’influenza di temperatura, umidità e radiazione solare, che possono minare le capacità infettive del virus.
“In esterno, le concentrazioni di virus rilevate in aree pubbliche a Wuhan sono al limite della rilevabilità (< 3 particelle virali/m3), in confronto alle tipiche concentrazioni di particolato nelle aree urbane inquinate, che possono arrivare a 100 miliardi di particelle/m3. Quindi la probabilità di trasmissione con questo meccanismo in outdoor sembra essere molto bassa.
Ipotesi
Tuttavia, vi può essere una maggiore probabilità in specifici ambienti indoor, come ospedali, aree di quarantena o mezzi pubblici. In questi ambienti, la sorgente è più intensa e la dispersione in aria più limitata, per cui si possono osservare concentrazioni elevate e condizioni microclimatiche favorevoli alla sopravvivenza del virus.
Anna Simone