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Carne bovina: consumi di acqua minori di quel che si pensi

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C’è una fake news che, almeno una volta al mese, circola online declinata in varie salse: un chilo di carne bovina avrebbe un’impronta idrica di 15mila litri. Per fortuna non è così e, in una dieta equilibrata, la presenza di carne bovina non modifica in modo netto il nostro consumo di acqua. A metterlo nero su bianco è il CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

MISURA DELL’IMPRONTA IDRICA

Partiamo dalle basi. Nel 1992, alla conferenza internazionale Onu di Dublino si definì come impronta idrica (water footprint) il volume di acqua dolce necessaria per produrre un qualsiasi bene o servizio (quindi anche i famigerati 15mila litri per kg di carne). In poco tempo ci si rese conto della difficoltà di misurare in modo corretto la water footprintper avere dei dati reali e limitare lo spreco di acqua dolce.

Il problema della misura quantitativa si risolse introducendo la suddivisione in tre frazioni dell’acqua utilizzata per produrre un bene:

  • la verde, dovuta all’acqua piovana
  • la blu, acqua delle falde e dei bacini idrogeologici
  • e la grigia, cioè l’acqua necessaria a dilavare le molecole inquinanti.

Per calcolare la water footprint si propose un modello che segue il concetto di valutazione del ciclo di vita LCA (Life Cycle Assessment), standardizzato successivamente nel 2014 da ISO 14046. Quindi scientifico e usato in tutto il mondo.

CONSUMO DI ACQUA E CARNE BOVINA

Il 90% dell’acqua che serve a produrre carne è di tipo verde, in altre parole è acqua piovana che cade sul suolo e solo il 5-7% è di acqua blu, ossia proveniente dalle falde e dai bacini idrogeologici.

Per una porzione di carne di 80 grammi si consumano meno di 100 litri di acqua blu.

Foto da Crea

Ma non è tutto. Siccome l’impronta idrica (verde e blu) comprendeva anche una quota di evapotraspirazione del suolo, non si poteva prescindere dal considerare l’efficienza dell’uso dell’acqua, le condizioni pedoclimatiche del suolo e i diversi sistemi di produzione zootecniche, che vanno da estensivi, con minor uso di acqua blu, a intensivi.

Considerando una buona efficienza del sistema irriguo in un allevamento estensivo italiano di bovini da carne, un consumo di 790 l/kg di carne, che possono al massimo diventare 3609 l /kg in un sistema di irrigazione poco efficiente. Nei sistemi intensivi con maggiore utilizzo di acqua blu il range va da 2.302 a 7.000 l/kg.

NON SOLO CARNE

Un allevamento zootecnico da carne, in particolare di tipo estensivo, che adotta tecniche di agricoltura conservativa, non produce solo carne, ma grazie all’uso di foraggi grossolani e pascolo utilizza per fini produttivi anche aree destinate ad essere abbandonate, in particolare quelle marginali. Conseguenze?

  • Maggiore fissazione di carbonio organico nel suolo e minor rilascio di anidride carbonica in atmosfera
  •  limitazione degli incendi estivi;
  • minore dilavamento e dissesti idrogeologici;
  • arricchimento di azoto, sia grazie alle deiezioni sia con la coltivazione di leguminose e così via

Il bovino, inoltre, non necessita di un utilizzo ingente dell’acqua nei mesi più caldi. Tutti i ruminanti in grado di digerire la cellulosa garantiscono uno stoccaggio, sottoforma di alimenti, delle risorse idriche autunno primaverili.

STRESS IDRICO

Qual è l’impatto degli allevamenti di bovini da carne sulle riserve idriche? Per calcolarlo si ricorre anche allo stress idrico, definito come la mancanza di capacità di soddisfare la domanda umana ed ecologica di acqua dolce. Fu Pfister, nel 2014, a ipotizzare un indice di stress idrico che varia da 0,01 (scarsità idrica minima) a 1 (scarsità idrica massima) ed è legato al periodo dell’anno e alle condizioni metereologiche.

Se i bacini idrogeologici sono in sofferenza idrica, l’impronta idrica blu pesa di più se sono in sofferenza per motivi metereologici; l’impronta verde di un alimento diminuisce a discapito di un incremento di quella blu.

LA SOLUZIONE NON È MANGIARE MENO CARNE

Va mangiato il giusto quantitativo di carne legato ai consigli della dieta mediterranea. Privarsene perché si ritiene che, mangiandone meno, si contribuisca comunque alla salvaguardia delle risorse idriche, non è la soluzione.

Se si sostituisce parte della carne con verdura e frutta, che derivano da colture irrigue, il consumo complessivo di acqua nella dieta non varia in modo sostanziale. Come si vede dalla foto seguente, non ci sono differenze nel consumo di acqua per la dieta EAT-Lancet con porzioni ridottissime di carne (meno di 100g a settimana) e la Dieta Mediterranea (300g di carne a settimana).

Foto da Crea: Confronto dell’impronta idrica (L di acqua consumata giornalmente da ogni persona per alimentarsi) tra le diete EAT -Lancet e Mediterranea rispetto alla dieta più comune di alcuni paesi (Cambeses-Franco et al. 2022).

CONCLUSIONE

La nostra dieta, se equilibrata, non incide sul risparmio idrico e le indicazioni che emergono dall’analisi dell’impronta idrica degli alimenti – come spiegano dal CREA – non sono fatte per modificare le nostre scelte alimentari. Le indicazioni che derivano da un calcolo corretto dell’impronta idrica aiutano nelle scelte politiche, economiche e di sviluppo tecnologico legate al settore agrifood di un Paese.

Largo spazio quindi alla pianificazione delle produzioni zootecniche. La ricerca del CREA sta dando delle indicazioni nell’ambito della zootecnia di precisione, dell’utilizzo di sottoprodotti nella razione, nella modificazione genetica delle principali colture foraggere e nell’efficienza produttiva e riproduttiva degli animali, così da mitigare lo stress idrico dovuto agli allevamenti. Non la dieta di ciascuno di noi.

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